L’Istituto Romano di San Michele per rilevanza patrimoniale e attività di assistenza svolta è la più importante Azienda Pubblica di Servizi alla Persona (ASP) di Roma. Come per altri grandi istituti, è il risultato della fusione, nel corso dei secoli, di diverse opere pie.
(1587-1643) Sisto V e la fondazione dell’Istituto
Il primo nucleo è stato fondato a fine Cinquecento durante il breve ma intenso pontificato di Sisto V (1585-1590), periodo di grande fervore architettonico nella Città Eterna.
Il papa marchigiano, nei cinque anni di pontificato, fece infatti realizzare archi e fontane, l’acquedotto dell’Acqua Felice, il Palazzo Laterano a San Giovanni, la nuova sede della Biblioteca Vaticana e la cappella monumentale a Santa Maria Maggiore per la propria sepoltura.
Inoltre, fece completare la cupola di San Pietro, restaurare ponti e le colonne Traiana e di Marco Aurelio, innalzare obelischi e ricostruire chiese, come San Girolamo degli Schiavoni.
In questo fermento di iniziative, nacquero anche diversi istituti di beneficenza per affrontare il problema dell’accattonaggio.
La Chiesa, che nello Stato Pontificio gestiva il potere amministrativo e civile, istituzionalizzò le attività e le strutture di aiuto ai poveri, caratterizzandole con la missione caritatevole e quindi religiosa.
Per comprendere lo spirito del tempo, è utile leggere quanto scrisse l’architetto Domenico Fontana a proposito del monumentale “Ospizio dei mendicanti” in via delle Zoccolette, a lui commissionato da Sisto V nel 1587 e primo nucleo del San Michele:
“In questa fabbrica vi sono saloni grandissimi e grandissima copia di stanze e appartamenti separati per le donne, per le zitelle, per li vecchi e per le fanciulle, e vi stanno con grandissima comodità, è luogo capace da potervi stare due mila persone senza dar impedimento l’uno all’altro, e al presente vi sono da seicento a tal volta mille e più poveri, e a tutti si provvede di mangiare, bevere, e vestire, e sono ben governati; a’ fanciulli s’insegna leggere, scrivere, e l’arte, e alle zitelle di cucire. Il luogo ha tutte le comodità di cantina, cucina e officiali che servono a quanto è bisogno”.
Tale istituzione, che attualmente ospita il Pontificio Istituto di San Clemente e uffici della Caritas, venne depotenziata a partire dall’inizio del Settecento, quando un’ala dell’edificio fu destinata ad accogliere il Conservatorio delle Zoccolette (o dei Ss. Clemente e Crescentino).
I mendicanti furono allora trasferiti in un altro edificio monumentale costruito a partire dal 1684, sotto il pontificato di Innocenzo XI Odescalchi, e cruciale nella storia dell’istituto: il San Michele a Ripa Grande, di fronte a Porta Portese (costruita nel 1644).
Questo enorme complesso lungo 335 metri, sorto lungo le rive del Tevere, venne edificato grazie alle elargizioni del ricco monsignor Carlo Tommaso Odescalchi, che per la sua dedizione fu definito “l’apostolo della carità romana”.
Il prelato era direttore dell’ospizio di Santa Galla e aveva fondato un Collegio per ragazzi poveri presso il suo palazzo a piazza Margana (tra piazza Venezia e il Ghetto). Proprio questi giovani costituirono il nucleo umano originario della nuova struttura che il ricco monsignore fece costruire sul terreno presso il porto di Ripa, appositamente acquistato.
La nuova struttura venne inaugurata ufficialmente il 9 aprile 1689 e, quattro anni dopo, Papa Innocenzo XII lo denominò “ospizio” con prevalenti attività di beneficenza quali l’assistenza agli anziani e l’avviamento dei giovani orfani verso una professione lavorativa.
L’Istituto Apostolico San Michele, questa la denominazione che il 20 maggio 1693 con apposita bolla gli venne assegnata da Papa Innocenzo XII, si ampliò grazie all’acquisto da parte dello stesso pontefice di uno stabile attiguo (il Collegio) posseduto da Livio Odescalchi. Dal 1699, la gestione dell’Istituto è stata affidata ad una congregazione composta da tre cardinali e un prelato con funzioni esecutive.
Il nuovo ospizio lungo il Tevere, per il suo carattere innovativo, divenne subito un modello esemplare di organizzazione per l’assistenza pubblica: i ragazzi, oltre ad essere ben accolti, venivano avviati a diverse attività artigianali, imparando a lavorare in un lanificio interno (attivato nel 1703), successivamente in una scuola d’arte in cui insegnarono personalità artistiche di rilievo e in una scuola-officina di arazzi, che acquisterà grande fama come Arazzeria Albani (dal nome del papa fondatore) e che ha continuato a produrre arazzi fino al 1926.
Pertanto all’originaria funzione di ricovero e correzione dei soggetti sociali più deboli ha saputo affiancare un ruolo educativo grazie all’istituzione di scuole di arti e mestieri.
La struttura ha poi istituito un carcere minorile (dal 1701 al 1827, quando sarà spostato in via Giulia) e uno femminile (sul lato prospiciente Porta Portese, dal 1738) e ha raccolto, oltre ai mendicanti, anche gli anziani dell’ospedale di Ponte Sisto e le “zitelle” del Laterano.
Ha inoltre assorbito gli Istituti privati fondati da Giovanni Leonardo Ceruso (1582) e da Carlo Tommaso Odescalichi (1686), eretti a vantaggio dei bambini abbandonati. L’edificio ha infine ospitato una caserma di doganieri.
A fine Settecento, a causa delle burrascose vicende romane, la struttura lungo il Tevere fu più volte saccheggiata. In particolare, le truppe francesi si resero protagoniste di devastanti ruberie.
Dopo l’Unità d’Italia si verificò la cessione forzata di molti beni ecclesiastici allo Stato (tra i tanti anche Palazzo Montecitorio e Palazzo Laterano). Il complesso edilizio fu quindi confiscato e nel 1871 nacque l’Istituto Romano San Michele, affidato al Comune.
Una commissione amministrativa di nomina comunale subentrò alle precedenti amministrazioni ecclesiastiche. Le antiche carceri minorili e femminili vennero trasformate in un nuovo reclusorio minorile, intitolato all’educatore Aristide Gabelli.
Nel 1938 l’Istituto Romano San Michele, frutto della fusione dei due enti di assistenza e beneficenza “Ospizio di San Michele” e “Orfanotrofio di Santa Maria degli Angeli” (riformato nel 1834 da Papa Gregorio XVI), fu trasferito nell’attuale sede di Tor Marancia (piazzale Antonio Tosti 4), un enorme comprensorio esteso su un’area di circa 120mila metri quadrati, costituito da 12 palazzine di più piani inserite in un ampio giardino.
La scelta fu dettata dall’orientamento fascista di ruralizzare le opere pie. Il terreno, già appartenuto al marchese De Merode, fu acquistato dall’imprenditore Elia Federici, il quale, oltre a venderlo allo Stato, ottenne l’appalto per la sua realizzazione.
Il progetto è stato redatto dall’architetto Alberto Calza Bini, che ottenne anche la direzione di una parte dei lavori per un guadagno complessivo di 190mila lire. Il trasferimento delle attività non fu, però, così semplice.
A causa della lontananza dal centro della città, di tutte le officine e le scuole funzionanti nella precedente sede, soltanto una fu spostata a Tor Marancia. La scuola d’arte fu soppressa. Nella borgata, comunque, vennero installate le sedi del Dopolavoro e dell’Opera nazionale Balilla, diversi laboratori e una cucina assistenziale.
Qui operò anche la Compagnia delle Dame di San Vincenzo con una scuola di lavoro per taglio e cucito riservata ad una sessantina di ragazze.
L’enorme edificio di San Michele a Ripa Grande, dopo un lungo periodo di degrado (totalmente sgomberato per i crolli nel novembre 1962), è stato invece acquisito dallo Stato alla fine degli anni Sessanta ed attualmente ospita uffici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.